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IL DERBY DI JK

John Kirwan
All Black numero 854, campione del mondo 1987 con la Nuova Zelanda, ma anche Treviso e Thiene da giocatore e l'Italia come allenatore, John Kirwan ci racconta la sua speciale partita di sabato

Lo sport indubbiamente scorre nelle vene della famiglia Kirwan: papà ex giocatore, nonno che un secolo fa diventa nazionale nel rugby a XIII dopo aver vinto un Ranfurly Shield, e ora la dinastia che prosegue con la figlia Francesca, campionessa di beach volley, e i figli Niko, capitano del Padova Calcio primatista in LegaPro, e Luca, parte dell'equipaggio di Luna Rossa nell'ultimo tentativo di assalto all'America's Cup, dove si è altrettanto rischiato un confronto finale tra Italia e Nuova Zelanda.

Sir John Kirwan, meglio conosciuto con le semplici iniziali JK, ha indossato la maglia degli All Blacks per 64 volte, diventando il primo giocatore a raggiungere i 50 caps in patria e segnando 35 mete in test match ufficiali, a lungo un record prima dell'arrivo di Doug Howlett.

Ma non saranno sfuggiti i nomi italiani dei figli, nati dall'unione con Fiorella quando John passava gli inverni nell'emisfero boreale, più precisamente nella Marca Trevigiana, con la maglia del Benetton assieme all'altro socio neozelandese Craig "Toni" Green, tra una partita a scopa e qualche meta utile a conquistare lo scudetto 1989.

Dopo essere stato assistente del connazionale Brad Johnstone, il 27 aprile 2002 viene nominato commissario tecnico della nazionale italiana, rimanendo in carica fino all'8 aprile 2005 per un totale di 32 partite - 22 perse e 10 vittorie, tra cui quelle al Sei Nazioni sul Galles nel 2003 e sulla Scozia nel 2004.

Oggi, dopo essere stato allenatore anche del Giappone e dei Blues ad Auckland, ricopre il ruolo di ambassador proprio con gli All Blacks e alcuni loro partner commerciali, ma anche quello di commentatore sportivo.

Pochi meglio di lui, insomma, possono presentarci la prossima sfida di sabato sera a Torino alle 21:10 all'Allianz Stadium, casa della Juventus.

"Gli All Blacks amano l'Italia e gli italiani - confessa subito il talento cresciuto nel Marist - e la squadra non vede l'ora di essere a Torino. Ho già mandato alcune cose da fare e vedere. Ci terranno, comunque, a finire bene il tour europeo, perché è importante per chiudere al meglio una stagione dove hanno perso contro il Sudafrica e sbagliato l'approccio con l'Argentina. Il team sta vivendo una fase di transizione, ma sono convinto sia sulla strada giusta".

Il pronostico, appare scontato, se è vero che la Nuova Zelanda rimane una delle formazioni mai sconfitte dagli Azzurri nei diciassette precedenti.

"Tutto dipenderà proprio dall'Italia, dato come sono andate anche le ultime uscite, con un po' di alti e bassi nelle prestazioni. Credo sia una nazionale molto cresciuta negli ultimi tre o quattro anni, mi piace e stimo molto Quesada, che sta facendo un buon lavoro, così come in precedenza aveva fatto Crowley. In questo momento, penso si debba più lavorare sotto l'aspetto mentale, che sia la grande lacuna di una squadra che invece è migliorata molto sul piano tattico e tecnico. Non si spiega altrimenti come si possano vincere partite importanti al Sei Nazioni e poi prendere 50 punti dall'Argentina o rischiare contro la Georgia. L'Italia forse è meno forte dei Pumas, ma non c'è tutto quel divario, così come non ci sono soltanto 3 punti di differenza con i Lelos".

Un piccolo deja vu, insomma, sul quale in passato gli Azzurri avevano pure lavorato con un ex compagno al Benetton Treviso di Kirwan, Claudio Robazza, nel ruolo di mental coach.

"Lui mi è sempre stato tanto d'aiuto in campo e fuori. Proprio qualche giorno fa, poi, stavo parlando con Fabio Ongaro, che ho avuto come giocatore in nazionale e ci dicevamo che allora la nostra squadra era ben più forte di quello che ha poi dimostrato. Ma ho detto delle vittorie al Sei Nazioni e poi i risultati delle serie a novembre, è stato lo stesso per me quando allenavo. Avevamo battuto il Galles e la Scozia nel Championship e poi siamo andati a perdere in Romania in un test match. L'Italia sa di essere una squadra forte, ma deve riuscire a trovare un equilibrio, un mantenimento della performance. Poi, certo, si può vincere o perdere, però è importante riuscire ad offrire sempre lo stesso tipo di prestazioni. Magari questa settimana, comunque, sarà diverso perché senz'altro si saranno caricati per la sfida agli All Blacks, che è diversa da tutte le altre".

Per tre volte è stato avversario della sua Nuova Zelanda. La prima ad Hamilton, l'8 giugno 2002 (64-10), poi nella fase a gironi della Coppa del Mondo 2003 in Australia l'11 ottobre a Melbourne (70-7) e infine a Roma, allo Stadio Flaminio, il 13 novembre 2004 (10-59).

Ma lo è stato anche dell'Italia, a partire da quella meta del 1987. Touche giocata rapidamente da capitan David Kirk e avversari seminati come birilli da una parte all'altra del campo. Una marcatura nata con gli allenamenti nella foresta di One Tree Hill, dove John schivava gli alberi immaginandosi gli avversari.

"Eppure quella meta non l'ho mai rivista. Non mi piace rivedermi né quando giocavo, né adesso come commentatore televisivo" confessa.

Detto degli Azzurri, anche gli All Blacks sono in una fase di evoluzione e cambiamento.

"Mi piace molto lo stile che stanno cercando di avere. Dopo tanti anni è cambiato lo staff ed ora credo stiano provando a portare un gioco che è nel DNA neozelandese, con forte propensione all'attacco, sfide individuali, voglia di rischiare. La sconfitta di un punto contro la Francia non penso preoccuperà più di tanto, anzi penso ci siano leader giovani che hanno preso il posto di altri più esperti e che alcuni errori commessi, come per me quello di piazzare e non andare in touche nel finale, torneranno utili per il futuro, perché da queste situazioni c'è sempre da imparare. L'Italia se vorrà essere competitiva, dovrà partire molto forte nei primi venti minuti e poi non mollare mai".

Se dovessimo fare dei nomi?

"Sititi gioca come numero 8 e Williams pilone sono giovanissimi, ma mi piacciono molto per caratteristiche e approccio. In regia McKenzie e Barrett garantiscono ancora un'ottima direzione, e le alternative nel gruppo comunque credo già ci siano anche se il ruolo dell'apertura non è mai semplice. Venendo alla mia vecchia posizione, mi piace molto Tele'a, è uno che riesce a fare mete che altri nemmeno si sognano, e anche Clarke gioca bene. Sono un po' una combinazione tra uno che danza e uno che va dentro come un bulldozer, che penso debba sempre esserci".

Entrambe le nazionali hanno di recente cambiato guida tecnica affidandosi ad ex giocatori e allenatori vincenti, molto determinati nel far subito capire cosa vogliono in campo, come Gonzalo Quesada e Scott Robertson.

"Sono il nuovo che avanza e mi piaccono entrambi molto - conclude Kirwan -. La Nuova Zelanda deve giocare così come sta facendo, magari soltanto eseguire meglio nell'ultimo passaggio, anche contro l'Irlanda si poteva forse segnare qualche meta in più, limare gli errori e quelle piccole cose diventa fondamentale. Quesada è ripartito da quanto di buono fatto da Crowley prima di lui e sta facendo a sua volta qualcosa di molto positivo, portando il suo e dando un'identità all'Italia".