Dopo 119 presenze con le Zebre, di cui 51 da capitano - più di qualsiasi altro giocatore -, sesto italiano a raggiungere le 100 presenze in Pro 14-URC, nel 2020 l'ex seconda linea pure di Prato, Milano, Aironi e Bristol ha appeso le scarpe al fatidico chiodo, intraprendendo la carriera di dirigente della franchigia ducale, dove oggi ricopre l'incarico di Head of Rugby Operations.
"Il mio ruolo nel tempo è cambiato molto e ci sono tante sfaccettature, dagli aspetti prettamente sportivi, a quelli commerciali e operativi - commenta lo stesso George Biagi -. In pratica tocco un po' tutte le aree principali di una società-azienda come sono le Zebre. Non credo poi siano importanti più di tanto i titoli, ma cerco di dare una mano e rimboccarmi le maniche a 360 gradi. Aiuto ad esempio la parte commerciale, guidando una community dove ci sono attualmente 155 club all'interno della Zebre Family, così come mi occupo delle parti sociali, ad esempio del rugby integrato, ma anche nell'organizzazione giornaliera, sia della prima squadra, che di altre iniziative, come il torneo che avremo per la prima volta in primavera che sarà intitolato alla memoria di Leonardo Mussini".
I suoi inizi nel mondo del rugby a 13 anni ad Edimburgo, nel Fettes College, prima di una lunga carriera che l'ha visto, tra le altre cose, anche indossare la mitica maglia bianconera dei Barbarians nel 2019 contro il Galles.
"A gennaio saranno cinque anni che ho smesso - continua l'ex giocatore ritiratosi nel 2020, l'anno in cui, dopo Annasole e Martin, è nato il suo terzo figlio Ottavio -. Devo dire che sono ruoli diversi. Fuori dal campo sei meno attore, ma in campo arriva comunque il riflesso di tutto quello che fa la società. Così come diverse sono le soddisfazioni. Vedere dei ragazzi che iniziano un percorso con noi, magari partendo dall'Accademia, e poi giocano bene e indossano la maglia della nazionale, è bello e dà veramente soddisfazione.
Quando giochi incidi molto sul momento, mentre quando sei fuori costruisci progetti. C'è un percorso sportivo, ma anche formativo, penso a quanti ragazzi con noi hanno conseguito la maturità o iniziato l'università: per noi un riscontro importante è anche quello di formare persone migliori. Con noi sono partiti ragazzi che hanno iniziato un loro percorso come allenatori, i vari Violi, Garcia ed altri, ma anche lo stesso Bortolami, oggi alla guida di Treviso, con cui ho giocato assieme nello stesso reparto e con il quale c'è un buonissimo rapporto".
Fuori dal campo, una laurea in economia conseguita alla prestigiosa università meneghina Bocconi, e dentro tanti ricordi e momenti da celebrare.
Un approdo alla nazionale tardivo, quasi a 29 anni nel 2014 - esordio a Roma contro l'Inghilterra.
"Il mio è stato un percorso atipico, però ognuno ha la sua strada e non esiste una ricetta che vada bene per tutti. Io ad esempio non ho fatto parte degli attuali percorsi federali, che sono comunque vari e funzionano bene. Ma sono un po' anche la dimostrazione che se ce l'ho fatta io, ce la possono fare tutti" scherza.
Gran parte della sua carriera internazionale, fatta di 23 caps con l'Italia, chiusa a Marsiglia contro la Francia nel 2018, ha attraversato il torneo più antico e prestigioso nel panorama della palla ovale: il Sei Nazioni.
"E' una competizione incredibile - afferma Biagi -. Ricordo di essere andato allo stadio Flaminio a vedere con mio papà e mio cugino Italia-Scozia il giorno della vittoria nel finale con il drop di Marcato. A febbraio saranno 10 anni dalla storica affermazione a Murrayfield. Per me, aver potuto giocare il Championship è stato come coronare un sogno, così come per la mia famiglia e per tutti coloro i quali mi hanno accompagnato in questo percorso.
Il Sei Nazioni è sempre estremamente competitivo, le partite all'estero sono ogni volta più sfidanti ed il gioco continua ad evolversi, basti guardare gli impatti, la fisicità, la velocità che sono continuamente maggiori".
Nato a Irvine, in Scozia, e cresciuto tra il nord della Gran Bretagna e l'Italia, il cuore non può essere che diviso tra due delle formazioni che negli anni recenti hanno riscontrato forse i miglioramenti più grandi ed evidenti e che si scontreranno subito nel primo match della kermesse 2025 a Murrayfield.
"La Scozia arriva al Sei Nazioni con risultati importanti ottenuti nei test di novembre. Ha un organico notevole e due franchigie che stanno facendo bene sia in URC che in Champions Cup. I ragazzi italiani stanno altrettanto lavorando sodo e sono sicuro arriveranno pronti all'appuntamento".
Italia, reduce anche dal torneo migliore di sempre nel 2024, con due vittorie ed un pareggio.
"Spero si possa continuare su questa strada, così come di vedere sempre più ragazzi delle Zebre, dato che li ho, per così dire, sottomano tutti i giorni, stanno lavorando duro e si stanno mettendo in luce. Penso, facendo qualche nome, a Giacomo Milano, che ha solo 19 anni e farà parte del gruppo per il Sei Nazioni under 20 e che credo possa approfittare dell'esperienza avuta con noi e del fieno in cascina che è riuscito a mettere via. Fa parte di un percorso condiviso che inizia dall'Accademia, si allena con noi, gioca a Noceto, ma già dalle amichevoli, in particolare quella contro Oyonnax, abbiamo visto che aveva qualità e che era un ragazzo interessante e maturo. E poi se ora sta giocando è perché se lo merita, Massimo (Brunello, allenatore delle Zebre Parma ed ex commissario tecnico della nazionale under 20, ndr) è uno che non regala niente a nessuno e pertanto ogni minuto che ha avuto a disposizione, se lo è guadagnato".
In tribuna contro il LOU, Lyon Olympique Universitaire, nella seconda giornata di Challenge Cup lo scorso fine settimana, e certamente anche nei prossimi due nel doppio derby di URC con Treviso, c'era e ci sarà naturalmente anche il commissario tecnico Gonzalo Quesada. Alla prima meta marcata da Tommaso Di Bartolomeo allo stadio Lanfranchi contro la formazione transalpina, si è girato con un cenno d'intesa verso David Sisi, ex nazionale azzurro ora responsabile della touche parmense.
"Il lavoro di Dave è fondamentale ed è stata una bella meta corale, con tutti coinvolti. Peccato forse non aver continuato così per tutta la partita - mastica amaro, ma in maniera ironica -. Tra i nomi, quello di Tommaso Di Bartolomeo va sicuramente tenuto in considerazione nel ruolo di tallonatore, perché sta avendo una stagione con numeri incredibili e merita una chance. Poi è giusto che Gonzalo faccia le sue scelte, così come che i ragazzi gli mettano pressione".
Esiste oggi un giocatore in cui Biagi si rivede?
"Mi viene da dire per fortuna loro no - scherza ancora l'ex seconda linea -. Nel ruolo c'è molta competizione anche da noi. Zambonin è un leader e speriamo il suo infortunio contro Lyon non sia nulla di particolarmente grave. Krumov altrettanto per quanto riguarda il campo e la rimessa laterale, così come Canali sta continuando a fare bene. Non mi rivedo in nessuno perché ognuno, poi, ha le sue caratteristiche fisiche".
Dino Lamb, magari anche per percorso tra estero ed Italia?
"Mi piacerebbe essere come lui, è molto fisico, veloce e dinamico, ma alla fine dico che sono tutti forti e appunto che ognuno ha le sue peculiarità".
Il rugby internazionale si proietterà a breve nel Sei Nazioni reduce dalle Autumn Nations Series. Per l'Italia un successo necessario contro la Georgia e poi le sconfitte contro Argentina e Nuova Zelanda.
"Ho visto bene gli Azzurri. Sono andato a seguire la partita contro gli All Blacks nella bellissima cornice dello Juventus Stadium, segno che il nostro rugby sta crescendo e diventando uno spettacolo sia dentro che fuori dal campo ed è in continua crescita. Ci sono molti ragazzi che busseranno alla porta di Gonzalo, che avrà delle scelte difficili, che probabilmente per molti ragazzi passeranno anche per quello che riusciranno a fare nel prossimo doppio confronto con Treviso".
A novembre si è anche riproposta l'annosa competizione tra emisferi, con quello australe che è sembrato riprendersi la leadership e un Sudafrica tornato in cima al mondo.
Biagi, a Firenze nel 2016, rubò l'ultima touche che diede all'Italia uno storico successo per 20-18 sugli Springboks, il primo di sempre, e una delle ultime sconfitte per la Rainbow Nation.
"Quando andiamo in Sudafrica, infatti, tengo la testa molto alta, ricordando quella grande partita, anche se ahimè sono passati otto anni. Le squadre, alla fine, sono sempre fatte di cicli. Quella fu una prestazione straordinaria e molti dei giocatori di quel Sudafrica sono poi diventati pilastri dell'attuale. Hanno una grande profondità e cultura rugbistica, con tanti talenti naturali e squadre di alto livello, cui si aggiungono poi le capacità di un tecnico come Erasmus, che è riuscito ad entrare nella testa e nel cuore dei ragazzi".
Fuori dal campo da rugby, pur non essendo molto attivo sui social, George Biagi è diventato nelle ultime settimane "virale" per un post pubblicato da una nota pagina di basket amatoriale, altra sua grande passione, e già nel 2018 con l'Italia aveva calcato il leggendario parquet dei Chicago Bulls.
"Intanto tengo un profilo basso per mia preferenza personale, cosa che forse oggi non va proprio così per tutti. A Chicago ho il 100% in lunetta, con il mio 1 su 1, mentre le mie statistiche in serie B con il CSI sono nettamente inferiori. Mi sto allenando per tenermi in movimento e dare una mano ai Walnut Noceto (ironia della sorte, ma nemmeno più di tanto immaginiamo, Walnut è la traduzione dall'inglese di noce, ndr), quando riesco tra impegni familiari e di lavoro. Seguo e mi piacciono tutti gli sport, ma la pallacanestro in particolare. Ho giocato da piccolo, anche mia moglie è appassionata e seguiamo soprattutto la Fortitudo Bologna. Ora ci stiamo risollevando con il ritorno di Caja, che ha dato una bella strigliata ai ragazzi e stanno tornando a giocare forte".