Classe 1992, il fischietto bresciano ha iniziato ad arbitrare quando aveva vent’anni dopo una trafila come terza linea nelle giovanili del Rugby Fiumicello e del Rugby Brescia, giocando qui pure in prima squadra in serie A. Portato da un amico con cui avrebbe, poi, intrapreso una lunga carriera e frequentazione, l’altro arbitro bresciano Gianluca Gnecchi che, tanto per continuare il percorso comune, sarà al suo fianco come assistente anche a Dublino.
Nel 2017 l’esordio nel campionato di Eccellenza italiano, poi la consacrazione nel 2019 quando fa il suo debutto in Pro14 in Munster-Southern Kings e a livello internazionale a Colonia nel test tra Germania e Spagna. Negli ultimi due anni, a conferma della bontà del lavoro svolto e della crescita personale, ha diretto prima la finale del campionato italiano e poi quella di URC. Ed è passato alla storia anche come primo arbitro ad aver espulso un giocatore dei Barbarians.
Ora, un altro traguardo mai raggiunto prima.
“Onestamente ancora non c’ho troppo pensato e forse non sento tanto l’emozione di essere il primo italiano ad arbitrare una partita del Sei Nazioni – dice -, ma credo che sia più quella legata al raggiungimento di un obiettivo mio, ma anche di tutti i sacrifici e gli sforzi fatti dalla mia famiglia, dai miei cari e dalle persone che mi sono state vicino. Poi, per ora sono concentrato sulla prossima partita di URC e quindi penso a far bene quella”.
Anticipo di quel che sarà, già sabato all’Arms Park, quando dirigerà il match tra Cardiff Rugby e Connacht, e potrebbe già trovarsi alcuni dei giocatori che ritroverà, poi, anche all’Aviva Stadium.
“Ancora non so se verranno rilasciati e ci saranno, ma è probabile. È una partita che ci tengo a far bene anche per riprendere, per così dire, l’abitudine all’arbitraggio. Sono stato fermo due settimane, ho diretto una partita del campionato italiano a Colorno e ora ritornerò in campo per essere, poi, pronto anche a sabato prossimo. A Dublino arriverò venerdì 23. All’Aviva Stadium non sono mai stato come arbitro, solo assistente e quarto ufficiale nella finale di Champions Cup. Sarà senz’altro una splendida atmosfera in uno degli impianti più iconici del rugby mondiale. Un po’ di impatto ci sarà e già l’ho avuto guardando domenica la partita dell’Italia quando ho sentito gli inni. Il bambino che ha cantato quello irlandese è stato fantastico e i due di Irlanda e Galles sono tra i più sentiti”.
Sarà, quindi, un altro italiano dopo gli Azzurri a Dublino. Sperando in un risultato diverso.
“Io di sicuro non vinco – ride -. Perdere, invece, per un arbitro è possibile e penso avvenga quando non riesci a fare la partita che vorresti e a non dirigere in maniera corretta”.
Laureato in Ingegneria Meccanica all’Università di Brescia ed ex impiegato nell’ufficio tecnico di una ditta locale, da luglio dello scorso anno è, a tutti gli effetti, un arbitro professionista. E proprio poco prima di un incontro di URC in Sudafrica tra Lions e Dragons, ha ricevuto la notizia dal capo degli arbitri mondiali Joel Jutge.
“Quando ho visto comparire il suo numero sul telefono, ho pensato a qualcosa di grosso e intuito potesse arrivare qualche notizia interessante. È stata una bella emozione”.
La sua vita sportiva e lavorativa, di fatto, non è oggi diversa da quella degli atleti che scendono in campo.
“Come arbitri viviamo un po’ al contrario, aspettando il fine settimana ma per lavorare. Una volta fatta la partita, di solito siamo in contatto con i nostri coach e responsabile della performance review e nei primi giorni della settimana successiva analizziamo ciò che è successo. Poi da metà settimana si chiude e si inizia a preparare quella dopo. Si guardano video delle squadre per capire il gioco, i possibili falli, facciamo riunioni, che siano a livello italiano, URC o internazionale. E oltre a questo c’è tutto un lavoro di allenamento in campo e palestra”.
L’uscita del recente documentario Whistleblowers ha posto notevole attenzione su come sia cambiato il compito dell’arbitro, come venga percepito e quanto a volte possa anche risultare difficoltoso.
“Di per sé le partite e le modalità di arbitrare non sono cambiate più di tanto, quello che è diventato più complicato è la gestione del post, quando alcuni possibili incidenti vengono spesso amplificati dai media e oggi soprattutto dai social, per volontà di creare contenuti, notizie e dibattiti. A volte anche il rapporto con i giocatori è da gestire, ma dipende tutto dal livello in cui ti trovi ad arbitrare e dall’esperienza di chi sta in campo e poi da come imposti la partita con gli atleti, c’è chi è aperto allo scambio di opinioni, chi vuole essere più riservato o chiuso durante la gara, e a volte i giocatori tentano di approfittare per mettere un po’ di pressione”.
Pressione che probabilmente verrà posta proprio anche allo stesso Piardi da Irlanda e Galles, considerando che sarà il suo esordio nel torneo.
“Fortunatamente, però, ho una buona esperienza internazionale e ancor più in URC, dove settimana dopo settimana ho incontrato la maggior parte di questi giocatori, quindi già ci conosciamo. Forse sarò io stesso a sentire più pressione durante la partita per voler far bene”.
Si arriva alla terza giornata dopo alcune polemiche legate all’uso del TMO e del nuovo utilizzo del cosiddetto Bunker.
“Da un punto di vista egoistico, come arbitro, ritengo il Bunker molto utile, ma capisco che dall’altra parte, quella di uno spettatore che guarda la partita allo stadio o in tv, a volte sia difficile comprendere non avendo una vera spiegazione del perché un fallo o un cartellino vengano cambiati o interpretati in un certo modo. Ma per noi significa avere più tranquillità e più tempo, quindi lo ritengo positivo. Per quanto riguarda il TMO, dopo la Coppa del mondo, i nostri responsabili sono stati molto chiari: c’è un protocollo da seguire e va rispettato. Non è tanto una questione di prendersi o non prendersi una responsabilità da parte dell’arbitro, ma appunto di essere legati a questo protocollo e mantenerlo e credo che poi l’equilibrio stia nel mezzo. Se viene usato o data una certa decisione si può pensare da una parte perché è stato usato, mentre se non viene usato si può pensare dall’altra perché no. Per questo dico che serve equilibrio. Come arbitri siamo esseri umani e non sempre abbiamo la possibilità di essere certi di quello che vediamo a velocità normale. Ho spesso sbagliato anch’io delle decisioni, dando mete in passato perché le avevo viste così in campo, per poi essere corretto, e per fortuna, dal TMO”.
In questo Sei Nazioni finora dal punto di vista arbitrale e di gioco non sembrano, invece, essere emerse troppe novità. L’Irlanda si mantiene squadra da battere, con un gioco efficace sia in attacco che in difesa, dove dopo ogni placcaggio, i giocatori sono subito pronti a rialzarsi e contendere o a rischierarsi.
“Un po’ è il gioco di Leinster, se consideriamo che molti degli elementi dell’Irlanda arrivano da lì e ci sono abituato dall’URC. È una squadra che sappiamo essere estremamente efficace nel contendere il possesso e, come arbitro, la difficoltà è capire la situazione perché lo fanno talmente bene e in velocità che devi cercare di vedere se c’è stato o meno un chiaro rilascio. Non credo appunto che ci siano state grandi novità rispetto all’anno scorso, forse i tanti calci in più sono uno dei focus su cui ci stiamo concentrando, quindi in particolare sulle situazioni di fuorigioco. Essendo stata amplificata come situazione, dobbiamo essere bravi ad essere coerenti negli 80’ e non sempre è un aspetto semplice da vedere perché magari a volte un giocatore è davanti al calciatore di pochissimo”.
E poi c’è sempre l’aspetto della sicurezza e della tutela di chi è in campo, in particolare nelle situazioni di contatto con la testa.
“L’attenzione sui placcaggi e su questo tipo di situazioni è sempre altissimo negli ultimi anni. Il bunker stesso è stato proprio pensato in tal senso, con molta attenzione e prudenza da tenere per situazioni di antigioco da valutare e ancora una volta la necessità di essere tutti noi arbitri il più coerenti possibili nelle decisioni”.