Nello specifico, il giocatore padovano classe 1996 cresciuto nel Valsugana, ha deciso di aprire un suo centro multi-sport, con particolare focus sul padel, disciplina del momento e sua altra grande passione oltre al rugby.
"Ci saranno padel, una palestra, zone dedicate a yoga, pilates, fitness, e poi bar, spogliatoi, ma il core business sarà comunque il padel - dice l'ex Zebre e Calvisano, con cui ha vinto il campionato italiano nel 2017 -. Se non fosse stata una grande passione, non avrei fatto questo investimento. Padel e rugby sono sport completamente agli antipodi: uno di contatto e di squadra, l'altro del tutto diverso, al massimo giochi in coppia, non c'è contatto ed è più individuale nel gesto tecnico. Quello che per me li accomuna è il fatto che il rugby per tutta la vita è stato divertimento e ora lo è questo. Già l'ho praticato in passato, ma mi ci sono avvicinato molto di più la scorsa estate. Come si sa, venivo da anni turbolenti e avevo bisogno di trovare altro per staccare un po' la testa e poi è subentrata pure la parte imprenditoriale, considerando che è una disciplina molto in voga, in tanti giocano e allora ho studiato un po' l'investimento, per capire come potermi differenziare rispetto ad altri centri e mi sono appassionato all'idea di poter fare qualcosa di nuovo. Ho sempre detto che il rugby ad alto livello è simile ad una bolla, è distante dalle realtà di ogni giorno, dal lavoratore "normale" che non è un professionista legato allo sport. E' diverso anche solo il parlare con persone che non parlano solo di rugby".
L'addio a Treviso è arrivato dopo un periodo piuttosto travagliato, dove la sfortuna è sembrata, in effetti, parecchio accanirsi sull'estremo ed ala.
Prima l'infortunio al ginocchio, poi un paio di concussion, il rischio di perdere la vista da un occhio con operazione urgente per distacco della retina, il fallimento del suo club - i Wasps, con cui aveva anche perso una finale di Premiership -, il cartellino rosso alla sua prima uscita di URC.
"Quando mi sono rotto il ginocchio, il professor Mariani che mi ha operato, nel momento in cui gli ho chiesto quando sarei potuto tornare a giocare, mi ha risposto intanto pensiamo a farti tornare a camminare bene. E' stato un infortunio un po' drammatico dal punto di vista personale. Ho cercato di smettere di credere alla sfortuna per non diventare matto. Sono arrivato in Inghilterra e ho avuto alcune concussion, l'ultima a Viadana contro la Romania con l'Italia Emergenti, e tutte sono state forti. Ricordo di aver fatto un'intervista e non mi ricordavo come parlare in inglese. Dopo la finale di Premiership, mi sono rotto il naso e ho rischiato di perdere l'occhio, vedevo male, ma pensavo fosse un postumo di concussion. Sono passati alcuni mesi e dopo la partita contro Clermont in Champions Cup, avevo giramenti di testa, sono svenuto in allenamento e sono andato da un neurologo senza però che venisse riscontrato nulla. Intanto i problemi alla vista peggioravano e allora sono andato da un ottico che mi ha ravvisato il distacco della retina, rischiando di diventare cieco da un occhio. La mattina dopo sono stato operato d'urgenza a Londra, in pieno periodo Covid, da solo e non si poteva stare in ospedale, quindi mi hanno caricato in macchina con anestesia post operazione per tornare a casa. Poi mi sono strappato il polpaccio e l'ultimo infortunio al tendine del ginocchio ricostruito".
Sfortuna che, però, accomuna un po' la famiglia di Pity - il suo soprannome -. Papà Umberto aveva giocato come ala ed estremo negli anni '80 nel Petrarca pluriscudettato, ma fu costretto a lasciare per infortunio, così come lo zio Andrea.
"In famiglia abbiamo sempre condiviso questa passione, spero comunque di aver reso i miei orgogliosi nei vari traguardi ottenuti e che comunque nessuno mi toglierà. Non sarò stato il miglior giocatore o un campione del mondo, ma credo di aver raggiunto degli obiettivi importanti".
Dopo non aver recuperato a pieno dall'ennesimo infortunio e non essendo più al livello richiesto da una competizione di alto grado, il 22 febbraio scorso ha annunciato con un comunicato congiunto, l'addio al club della Marca, dove ha collezionato appena sei presenze in un anno e mezzo circa, dando il via però ad altre speculazioni, che lo vedevano già su nuove strade, in particolare verso Reggio Emilia, dove ora allena l'amico ed altro ex azzurro Marcello Violi, ma senza dichiarare apertamente un ritiro effettivo dal rugby giocato.
"Ho letto anch'io questa notizia e l'ho trovata un po' curiosa. Marcello è tra i miei migliori amici, ma non siamo mai andati oltre la battuta. Fino a fine stagione l'intenzione è assolutamente quella di seguire il progetto e non andrò da altre parti, per darmi la possibilità di vedere com'è fare qualcos'altro. Il rugby, comunque, è stato parte della mia vita: ho ventotto anni e ventitré di questi li ho passati su un campo di rugby e quello che sono adesso al 90% lo devo a questo sport, quindi chiudere completamente le porte o dire non giocherò mai più, non mi sento di farlo. Fino a ieri ero un giocatore professionista, adesso siamo a marzo e non avrebbe senso giocare in altri club a due mesi dalla fine della stagione. Ci sono situazioni di giocatori che hanno vissuto esperienze simili, penso a Cipriani o Goosen. Non vorrei passare per ipocrita, però vedremo eventualmente un domani. Intanto, la mia testa è concentrata sui nuovi progetti, ma è indubbio che il rugby mi è piaciuto e mi piacerà sempre".
Considerando tutti questi aspetti, per quello che nel 2018 fu votato dagli allenatori italiani il miglior giocatore dell'anno, visto il fisico di 175 centimetri per 80 chilogrammi, nella palla ovale moderna c'è ancora spazio per giocatori "normali"?
"Penso di si, basti guardare un atleta come Ange Capuozzo, che ne è la prova più evidente, così come altri, pensiamo a McKenzie in Nuova Zelanda. Io credo di aver avuto un po' di sfortuna, chiamiamola così, perché sono stati tutti infortuni non dettati da impatti con un corpo super fisicato tipo un terza linea di oggi, ma cose che potevano succedere. Dinamiche che purtroppo questo sport, come altri di contatto, ha e continuerà ad avere. Dopo, in questi casi, inizi ad entrare in un ciclo di problematiche psicologiche e la mente inizia un po' a tirarti indietro, incominci ad aver paura di farti male. Giocare con la paura non ti lascia serenità. In alcuni momenti della mia carriera probabilmente questo s'è fatto sentire, perché alcuni infortuni mi hanno segnato e me li sono un po' portati dietro".
Con l'Italia, l'esordio l'11 novembre 2017 a Catania contro le Fiji e poi 24 caps complessivi, l'ultimo contro l'Argentina nel 2021, e una Coppa del Mondo nel 2019 con 3 partite e 2 mete.
Un impatto subito forte anche nel torneo Sei Nazioni, con prima meta internazionale marcata a Dublino nel 2018.
"Ogni ricordo con l'Italia per me è pazzesco, ma il Sei Nazioni è un qualcosa di più. Sono esperienze che noi Europei sogniamo, cresciamo con questi tornei, andavo a vedere le partite allo stadio quando ero piccolo e ha sempre questo velo di romanticismo. Se devo pensare ad un ricordo, sicuramente la prima meta fatta all'Aviva Stadium. Il risultato purtroppo era già determinato, quindi è stata un po' ininfluente, ma è stata la mia prima meta con l'Italia, segnata nel mio stadio preferito e alla fine ho persino scambiato la maglia con Sexton: un momento unico".
Seguito, poi, da altre marcature contro Galles, Scozia e Francia, diventando il primo giocatore italiano a segnare in quattro incontri consecutivi del torneo, meritandosi pure una candidatura a miglior giocatore del Championship nel 2018.
"Ricordo che me lo aveva detto Conor O'Shea, che se segnavo anche nell'ultima partita avrei fatto quattro mete in quattro partite di fila e sarei stato l'unico italiano a riuscire in una cosa del genere. Anche questo è un piccolo record che mi fa piacere avere".
Oggi che Sei Nazioni e che Italia sta vedendo Matteo Minozzi?
"Penso sia finito il momento di pensare all'Italia come una squadra materasso o ad una passeggiata, la partita con l'Irlanda dimostra che non prendi più oltre cinquanta punti anche se è stata la peggiore a livello offensivo. Squadre e tifosi non vengono più a fare la gita di piacere a Roma. La partita con la Francia ne è stata la dimostrazione e personalmente la reputo una vittoria. In una situazione diversa quel calcio sarebbe sempre entrato, a Lille per me l'Italia ha vinto, e se proprio non vogliamo dirlo, ha pareggiato contro una squadra che qualche mese fa era tra le principali candidate a vincere il mondiale. Nel periodo di cambio allenatore, che io ho vissuto tra O'Shea, Smith, Crowley, cambiano dinamiche, idee, si crea un ambiente nuovo anche se magari i giocatori rimangono gli stessi, e quindi può starci che non ci sia un gioco spettacolare subito al pronti via. Forse dal punto di vista offensivo, il miglior periodo è l'ultimo di Crowley, con le vittorie con Samoa e Australia e quando abbiamo offerto un'ottima prestazione anche contro il Sudafrica, ma comunque ho visto una buona Italia. Ora sono forse terminate le partite storicamente più ostiche e complicate. Non vanno sottovalutate le prossime avversarie, ma il Galles non attraversa il suo miglior momento, mentre la Scozia, pur essendo in un buono stato di forma, la affrontiamo in casa ed è sempre una partita che ci si può giocare e poi appunto veniamo da una prova che sicuramente avrà dato fiducia alla squadra".