Gesi, nato a Livorno il 23 maggio 2001, ha fatto parte più volte del gruppo allargato della nazionale italiana, ma finora la sua unica presenza rimane quella del 18 marzo 2023 ad Edimburgo, prossima tappa anche dell'avvio del Sei Nazioni 2025.
"Sarebbe un sogno e molto bello poter tornare a Murrayfield - confessa -. Ricordo quel giorno un'emozione incredibile, una bellissima atmosfera, sentire l'inno italiano, il calore del pubblico e di uno stadio tutto pieno, ero veramente felice e poi tutti i ragazzi mi avevano trasmesso tranquillità e fiducia".
Non solo quella come esperienza nel Sei Nazioni, considerati i trascorsi nei tornei giovanili under 18 e 20.
"Il Sei Nazioni, a mio avviso, rappresenta il palcoscenico europeo più importante nel rugby, quello dove poter esprimere il proprio gioco e il massimo a cui si può ambire in Europa. Sono anche stato spesso a vedere partite all'Olimpico da semplice tifoso".
Inserito nel 2022/2023 nel XV ideale dello United Rugby Championship, ha partecipato al Six Nations Festival under 18 e al torneo under 20 del 2021 interamente disputato a Cardiff, all'Arms Park, in cui emerse come uno dei prospetti di maggior interesse con alcune mete di grande qualità.
"Sono state esperienze molto importanti - conferma l'ala fresca di rinnovo fino al 2026 con le Zebre Parma -, perché vai a confrontarti con giocatori di altre nazioni dove questo sport ha una grande rilevanza, è più organizzato, è quasi professionistico già a partire dalle giovanili, e ti dà quindi occasione di capire a che punto sei, cosa fanno gli altri, prendere spunto da giocatori e ambienti che vedi".
Se in nazionale maggiore ha faticato a lungo, ma sembra ora aver trovato la giusta maturità per ritagliarsi un suo spazio, approfittando anche del contemporaneo infortunio di Louis Lynagh per provare a contendersi una maglia da titolare, l'azzurro rimane un colore importante per lui, che ha giocato in pratica con tutte le nazionali, dalle giovanili alla A, passando per emergenti e seven.
"Il poter far parte della nazionale rimane un sogno. L'esordio è arrivato un po' di tempo fa e dunque se dovessi scendere in campo sarebbe quasi come farne uno nuovo, spero migliore, dato che penso di essere più pronto e con maggiore esperienza ora. L'emozione più grande è quella di stare lì accanto ai migliori giocatori italiani e di poterti al contempo confrontare con i più forti al mondo".
Spesso nel bloccarne la scelta gli è stata imputata una mancanza di duttilità, eppure i suoi esordi sono avvenuti all'apertura e solo in anni recenti è stato spostato all'ala, mentre può vantare anche qualche presenza da estremo e pure come piazzatore.
"Fino al mio arrivo a Colorno nell'anno post Covid giocavo prevalentemente apertura o estremo, lì e poi in nazionale under 18 e 20 sono stato provato all'ala. Di recente, in coppa con le Zebre contro Connacht, sono tornato come estremo. Penso sia positivo poter ricoprire più ruoli, per sviluppare certe aree del giovo, vedere in altro modo come si sviluppa e gestire i momenti in maniera diversa, ma anche per avere in fondo più opportunità di giocare".
E in fondo il tutto si riflette anche sugli idoli che ne hanno accompagnato la crescita.
"Il primo in assoluto era Dan Carter, ora visto il cambio di ruolo potrei dire Cheslin Kolbe, mi piace molto come giocatore, è completo, in grado di ricoprire più posizioni e sempre in maniera ottimale".
"Giovanili e prima squadra serie B a Livorno, poi Colorno post Covid, permit Zebre e poi Zebre. fratello Accademia Zebre e Colorno. Papà Stefano giocava da terza linea, ala, estremo.
Con Colorno fu votato miglior giocatore del campionato italiano 2021/2022, meritandosi la chiamata della franchigia ducale esordendo in URC come permit player il 19 marzo 2022 in Sudafrica contro gli Sharks, prima di entrare a far parte in pianta stabile delle Zebre. I suoi esordi, tuttavia, sono legati alla tradizione toscana e in particolare ad una terra come Livorno, che in passato ha sfornato nomi come Innocenti, Mazzantini, De Rossi e in tempi più recenti Lucchesi.
"Sento molto il legame tra la mia terra, la Toscana, e il rugby, anche per questioni familiari. Mio nonno e mio papà giocavano, mio fratello (Alessandro già nazionale giovanile, nell'Accademia delle Zebre Parma e in forza al Colorno, ndr) gioca. Ho sempre vissuto a Livorno, dove questo sport, nonostante la concorrenza di altre discipline, è comunque ancora molto sentito. In passato la squadra è stata in serie A, ma anche avuto un settore giovanile di alto livello e penso che l'appartenenza sia un qualcosa che sentiamo un po' tutti noi toscani".
In terra labronica è nato il primo soprannome, quello di Silva, mentre in piena Pianura Padana il secondo di Anguilla.
"Anguilla sì, mi è stato dato a Colorno per la capacità di sgusciare, mentre Silva deriva da nonno Silvano che il mio allenatore del tempo a Livorno conosceva, quindi sono diventato Silvanino e poi per facilità è stato abbreviato".
La capacità di riuscire spesso a trovare il modo di liberarsi del placcaggio è tra quelle che più vengono riconosciute al giovane studente di ingegneria industriale.
"Anche da piccolo, per quanto mi riguarda, non essendo tanto grosso fisicamente, per avanzare o fare metri non potevo andare addosso all'avversario, ma cercavo di schivare, di usare il corpo per evitare il contatto diretto. E' una cosa che alla fine mi è rimasta e continuo ad avere: anche se vengo impattato, uso tutte le parti del corpo per evitare la spinta diretta e cercare ancora spazio".
Cosa serve allora per segnare una meta?
"Nell'esperienza appresa da tanti allenatori, credo che la meta possa partire sia dal gesto di un singolo giocatore che può evitare avversari, magari in una situazione di difficoltà, ma anche dal lavoro fatto bene da parte di tutti nel creare un pallone veloce, una direzione di corsa che faccia ritardare il difensore e che permetta poi all'ultimo a chi arriva la palla di avere più spazio per superare la linea di difesa e segnare".
In questo senso, il 20 gennaio 2024 a Pau, ha segnato la meta numero 24 (ad oggi sono diventate 29, ndr) con la maglia delle Zebre, superando Dries van Schalkwyk e diventando il miglior metaman della franchigia parmense.
"Allora nemmeno lo sapevo, me l'hanno detto dopo la partita a Pau. Fa piacere perché penso di stare lavorando nella giusta direzione e di essere così riuscito anche a meritarmi la fiducia dei miei compagni che devono passare la palla e si fidano di quello che so fare".
Rimanendo sulle statistiche, contro Treviso il 28 dicembre scorso ha toccato quota 50 presenze con le Zebre, segnando anche la meta del momentaneo vantaggio.
"Mi sento fortunato ad aver potuto fare il cinquantesimo in quel tipo di partita, con lo stadio pieno e con tanto di meta. Peccato per il risultato finale. Quella marcatura sembrava poterci dare fiducia, invece negli ultimi minuti non siamo riusciti a tenere, probabilmente anche sul piano fisico, con un po' di stanchezza e mancanza di lucidità che sono subentrate".