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DNA OVALE

Mascia Jelic ITA
Protagonista in campo contro l'Irlanda, Mascia Jelic ha il rugby nel destino, da papà a fratello, nella rincorsa di una maglia in nazionale maggiore.

Nata a Jesi, provincia di Ancona, e trasferitasi da piccola a circa 11 anni a Pesaro, Mascia Jelic è un punto fermo della nazionale italiana under 20 impegnata in questi giorni a Parma nelle Women's Summer Series.

Dopo aver sofferto in tribuna nel primo match contro la Scozia, è scesa in campo contro l'Irlanda nel secondo successo azzurro, con la maglia numero 7.

"La mia carriera inizia davvero a Pesaro, in maniera più continua, mentre prima ero un po' meno costante e facevo altre discipline - confessa la terza linea da quest'anno in forza al Colorno, club proprio della provincia parmense -. La squadra si chiamava Mustang e con me giocavano anche Giada Corradini, Francesca Sgorbini ed altre ragazze. Poi sono passata alle Spartan Queens di Montegranaro prima del trasferimento nell'ultima stagione. In famiglia il rugby è quasi una religione, in casa c'è sempre una partita e quindi arrivarci è stato quasi inevitabile".

Papà Vladimir, originario della Serbia si è trasferito infatti da Belgrado quando Mascia aveva solo pochi mesi, per passare da una nazione che "respira e vive" altri sport, come basket, volley, pallanuoto, ad una più rugbistica, per giocare come apertura nel Rugby Jesi.

E sempre in mediana gioca il fratello Ratko, numero 9 delle Zebre, franchigia nata pure nel femminile quest'anno e con cui Mascia ha giocato, e già inserito nel gruppo allargato in alcuni raduni della nazionale maggiore.

"Io ancora non ho fatto raduni con la seniores, mentre lui c'è stato già ed ha giocato con gli emergenti, per cui ad entrambi manca quel piccolo tassello.

Speriamo anche che l'esperienza delle Zebre al femminile possa continuare per aumentare la crescita di tutto il nostro movimento e personale.

Mi sento più pronta nella fase offensiva rispetto a quella difensiva, dove devo ancora lavorare abbastanza sulla salita e sulla tecnica di placcaggio.

Se devo pensare al futuro, spero di poter appunto entrare nel gruppo della nazionale maggiore e vivere questa esperienza, mentre l'obiettivo fuori dal campo è di laurearmi e poi capire cosa farò da grande".

Studentessa di economia, dopo un anno ad Urbino, si è trasferita ed iscritta a Parma, nel tempo libero ama disegnare, assieme alla compagna Francesca Andreoli "ma lei ci sa più fare di me con il pennello in mano, io sono più da matite colorate" - scherza Jelic -, è stata aiutata nel suo percorso dalle "sorelle maggiori" della nazionale e di Colorno.

"Isabella Locatelli è la mia "mamma" per eccellenza - commenta -, mi aiuta un sacco in qualsiasi cosa, ma anche altre ragazze, come ad esempio Alissa Ranuccini.

Colorno è lontana una decina di chilometri da Parma ed è molto bello vedere che tante delle mie compagne vengono a supportarci durante le partite delle Women's Summer Series.

Arrivata quest'anno, sono di fatto alla mia prima vera esperienza nel rugby a quindici, quindi per molte cose, penso ad esempio alle touche, non ero minimamente specializzata e in questo ruolo mi stanno sostenendo tantissimo, era tutto un po' nuovo e sono sempre state al mio fianco. Non vedo l'ora di continuare a migliorare e crescere assieme".

E parlando di crescita è inevitabile pensare proprio a un torneo che mancava, come le Women's Summer Series, che va a colmare il gap tra prima squadra e under 18 e che potrà consentire alle ragazze di approdare al grande rugby internazionale più preparate e consapevoli.

"Nelle prime partite, devo dire che si è avvertito lo sforzo fisico e che abbiamo avuto dei momenti in cui la fase difensiva si è fatta sentire. L'obiettivo è quello di ricercare l'efficacia e siamo naturalmente molto contente delle due vittorie.

Per noi, in generale, è una bellissima occasione di confronto con squadre internazionali e personalmente mi lascia un nodo alla gola la possibilità di partecipare a un qualcosa di così importante e che, di fatto, scrive la storia, se pensiamo che è il primo torneo di questo genere. Anche alla prima partita, pur essendo fuori dal campo, ero molto emozionata e ho fatto quasi fatica a trattenere le lacrime al momento dell'inno".

Forte, insomma l'attaccamento alla maglia azzurra, cui sono legate inevitabilmente anche le emozioni ad oggi più grandi.

"Indossarla è in primis un onore ed è importante per il movimento in generale e per la battaglia che noi donne stiamo pian piano costruendo, quindi anche come rivincita personale per tutte noi ragazze che ancora non abbiamo avuto grandi occasioni.

Giocare un torneo del genere ti consente di introdurti nell'ambiente ed iniziare, per così dire, ad ingranare. Se poi un domani dovessi essere chiamata in nazionale maggiore, un po' sai già come funziona.

Il mio ricordo più bello è la vittoria del Tri-Nations lo scorso anno a L'Aquila, un'emozione notevole perché ci siamo rese conto di cosa siamo capaci di fare e non ce l'aspettavamo minimamente forse. Nella testa ti dici "ok, ci proviamo, vediamo come va" e invece siamo riuscite ad ottenere dei risultati importanti ed è una cosa che ci ha riempito il cuore".

Il rugby moderno, ma più in generale la società e soprattutto le nuove generazioni hanno preso particolarmente a cuore battaglie recenti, si pensi ad esempio a quelle sui cambiamenti climatici, ma anche contro le discriminazioni, gli stereotipi di genere, il bullismo e altre ancora.

A partire dall'ultimo torneo Sei Nazioni, in particolare, la Federazione Italiana Rugby ha intrapreso un percorso a riguardo per la sensibilizzazione sullo sport al femminile, prima con la campagna "Io faccio la maglia", atta a combattere proprio i pregiudizi contro lo sport in rosa, e ora con l'azzurra Beatrice Rigoni protagonista di una nuova iniziativa contro l'odio sui social media.

Temi che inevitabilmente anche nella nazionale under 20 si rischia di toccare direttamente con mano e che magari possono pesare nella crescita, ma forse a volte pure aumentare convincimento e determinazione.

"Al momento non ho avuto episodi particolarmente problematici. Magari quando ero più piccola e giocavo con i maschi, un po' di disagio lo sentivo - chiude Mascia Jelic -, ora però per fortuna non sento troppo questo peso, anzi se parlo con qualche compagno e dico che gioco a rugby, mi guardano in maniera positivamente stupita e questo non dà fastidio, anzi, e hanno un'alta opinione di me e ciò non può che fare piacere".