Il capitano dell’Italia Under 18 Piero Gritti crede che una Coppa del Mondo di rugby in casa porterebbe lo sport ad un altro livello.
Gritti, 18 anni, figlio dell’ex stella azzurra Andrea, ha capitanato la sua squadra nell’ultima partita del Festival del Sei Nazioni Under 18 in Irlanda, un torneo che ha fruttato una vittoria e due sconfitte.
In seguito alla notizia che la Federazione Italiana Rugby ha sostenuto la sua controparte calcistica nella candidatura per ospitare Euro 2032, Gritti ritiene che una Coppa del Mondo casalinga avrebbe un grande impatto sulla situazione del rugby in Italia.
“Se dovessimo ospitare una Coppa del Mondo, penso che il movimento crescerebbe di anno in anno prima e dopo il torneo”, ha detto, aggiungendo “ospitarla in Italia potrebbe avvicinare molte più persone al rugby e aiuterebbe a far crescere il movimento italiano”.
Gritti ha aggiunto che giocatori e tifosi in trasferta potrebbero godersi un soggiorno memorabile nel Bel Paese: “il cibo è molto buono”, ha scherzato, “le infrastrutture sono buone e c’è molto amore da parte della gente. Ci sono bei posti dove giocare e tutti si divertirebbero”.
Il più grande torneo di rugby fa parte da tempo della vita di Gritti, con suo padre che nel 2000 ha preso parte alla prima partita del Sei Nazioni in Italia. L’azzurrino ha ammesso che poter seguire le orme di suo padre e rappresentare il suo Paese sui più grandi palcoscenici sarebbe un sogno diventato realtà.
“Da quando ho memoria il rugby ha fatto parte della mia vita”, ha detto, “guardo il Sei Nazioni ogni anno ed è sempre stato parte della mia vita, quindi sarebbe un sogno che si avvera. Adoro la competizione in quanto è uno dei più grandi tornei del mondo. Il livello è altissimo e tutti in Europa vogliono giocarci”.
Con Piero Gritti, la mela non è caduta troppo lontano dall’albero: come suo padre, infatti, è un giocatore di mischia imponente e con un’influenza calmante sul campo. Ma il giovane Gritti, che preferisce giocare a numero 8 piuttosto che in seconda linea, ammette che ci sono alcune differenze nei loro stili di gioco:
“Preferisco il numero 8 perché posso giocare di più nello spazio, ho la possibilità di attaccare e non devo fare tanto lavoro sporco”, ha detto. “Sono più libero come numero 8 ma devo migliorare molto per giocare in quella posizione. Mio padre mi aiuta molto”.
“Quando ero più giovane parlavamo sempre e lui mi insegnava qualcosa ogni volta. Mi ha sempre sostenuto. Molto di quello che so viene da lui, ma credo che siamo giocatori diversi. Il rugby è cambiato e non è più lo stesso sport di allora”.
“Era bravo nelle rimesse laterali e forse un po’ più debole nel gioco aperto, penso di essere l’opposto. Sarò per sempre grato per l’opportunità che mi è stata data dagli allenatori e sono davvero felice di essere riuscito a coglierla”.