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QUESTO E' IL MIO SPORT!

Silvia Turani
Silvia Turani è ormai da anni un punto fermo della nazionale italiana, con grandi esperienze rugbistiche lontana dal Bel Paese che l'hanno arricchita sia in campo che fuori.

Eppure gli inizi non erano stati dei migliori. La giovane Cilvia - suo primo soprannome ormai modificato da altre mille varianti nel tempo - veniva da tante e differenti discipline sportive (nuoto, sci, equitazione, tennis, ma soprattutto basket) quando nel 2016, al secondo anno dell'Università di Scienze Gastronomiche a Parma, si reca in Spagna per il Progetto Erasmus.

Lì, ad una festa, sente alcune ragazze parlare di un allenamento saltato. Si interessa e scopre che parlano di rugby e la invitano a provare una disciplina a lei semisconosciuta, anche se il fratello a Bergamo aveva giocato un paio di anni ai tempi delle superiori.

Un allenamento e viene subito catapultata in un torneo a sette con contatto previsto nel fine settimana.

"Dopo le prime partite, in cui davvero non capivo nemmeno cosa stessi facendo, una delle ragazze mi ha detto che forse non faceva per me e che era meglio lasciare perdere".

Mai dire una cosa del genere a Silvia Turani: il rischio che possa prenderla sul personale è forte.

Da allora, infatti, inizia ad informarsi sulla situazione della palla ovale femminile in Italia e, studiando nella città ducale, scopre che esiste una squadra di ottimo livello che si chiama Colorno. Inizia a bombardare il club di e-mail "fin troppo formali se ci penso adesso" - ride la giocatrice della prima linea azzurra - e poi telefona e viene invitata ad un allenamento.

"Così ho scoperto che mi piaceva e poi, sì, dovevo dimostrare che era uno sport che potevo praticare. Alla fine dell'anno abbiamo perso la finale scudetto, ma durante il campionato sono stata avvicinata dall'allora allenatore della nazionale, Andrea Di Giandomenico, che mi ha chiesto informazioni e ovviamente ero molto emozionata".

Una super donna capace di diventare la prima italiana a giocare con la selezione delle Barbarians nel 2019 al Principality Stadium, vincendo 15-29 contro le padrone di casa del Galles. Insomma, quel giudizio della compagna di squadra in Spagna non è sembrato particolarmente lungimirante.

"Qualche tempo fa mi sono sentita via messaggio con quella ragazza, che ai tempi cercava di entrare nel giro della nazionale iberica. Mi ha detto che mi aveva visto con l'Italia, mentre lei aveva smesso di giocare. Al tempo magari ci capiva pure e non posso dire che fossi portata, però alla fine lei si è ritirata e io sono arrivata in nazionale".

A novembre 2017, nemmeno un anno dopo aver indossato le sue prime scarpe ed aver calcato i campi, infatti, arriva, a Biella in un test contro la Francia, il suo esordio in nazionale. Poi, al termine di quella stagione, vincerà il suo primo campionato con Colorno, con cui giocherà fino allo scoppiare della pandemia Covid-19. E da lì in avanti, una vita da autentica giramondo: Grenoble in Francia, approfittando di un secondo anno all'estero previsto dal curriculum della sua laurea magistrale in Trade and consumer marketing. Poi un pizzico di sfortuna di troppo, con tanto di rottura del crociato e di Sei Nazioni saltato, il rientro per un breve periodo in Italia per recuperare e infine l'approdo in Inghilterra. Exeter, dove disputa la finale della Premier 15s persa contro Gloucester. Senza dover portare pizze come fattorina, come capitato al connazionale Ross Vintcent.

"Però nel periodo della pandemia - scherza il pilone -, con Francesca Sgorbini a Colorno, c'eravamo inventate un'attività di trasporto a domicilio assieme alla macelleria sotto casa. Con i titolari abbiamo mantenuto anche rapporti splendidi, quasi familiari, e sono venuti ogni tanto a vedere le nostre partite. E comunque ho portato pure le pizze per un pub della zona. In passato avevo provato a lavorare nell'azienda di mio papà, ma quando si è presentata l'opportunità di andare a giocare ad Exeter, ho pensato che quello fosse decisamente quello che volevo fare, per la soddisfazione di tutti".

Rugby femminile che negli ultimi anni, proprio da questo punto di vista, sta attraversando a livello globale una vera e propria rivoluzione con la contrattualizzazione e, lo scorso anno, il primo torneo Sei Nazioni "professionistico", in cui tutte le nazionali avevano giocatrici con accordi centrali con le rispettive federazioni, e non più quindi costrette a sdoppiarsi tra campo e ufficio e a dover chiedere ferie, permessi e quant'altro per poter coltivare a pieno la propria passione.

"Per questo indubbiamente c'è tanta gratitudine, se pensiamo a quella che era la situazione solo cinque, sei anni fa quando ho iniziato, con rimborsi spese e poco più. Ora magari ancora non sono tante le ragazze che possono contare su un contratto, ma è comunque un passo avanti importante. Il rammarico forse in questo senso è che per diversi anni siamo state tra le nazioni trainanti, mentre ora diverse altre si stanno adattando meglio e spingono molto per quello che riguarda programmazione e investimenti nel settore femminile. Stiamo comunque andando nella giusta direzione, forse soltanto a velocità diversa, ma per le ventiquattro ragazze sotto contratto è davvero un aiuto notevole. E' un qualcosa che ti permette di poter pensare di giocare solo a rugby o al massimo di affiancare un lavoro part-time, hai più tempo per allenamenti, analisi, per tutti gli impegni delle nazionali che sono aumentati: test, torneo Sei Nazioni, WXV, tanti giorni in raduno. Appunto non servono più ferie o permessi, che prima o poi finivano e non diventa quasi più una scelta".

Da quest'anno Silvia è approdata nella squadra femminile degli Harlequins, a due passi dal tempio di Twickenham, dove per non smettere con la passione dello studio sta cercando di prendere una terza laurea in Psicologia e nel frattempo allena pure una delle formazioni dell'Università di Guilford, dove il club multicolor ha il suo centro di allenamento nel Surrey.

"Mi sento davvero fortunata. Ho la possibilità di giocare a rugby e considerarlo, in questo momento, un lavoro e farlo poi in un sistema professionale a tutti gli effetti. Quest'anno, ad esempio, abbiamo uno staff di circa venti persone full-time, ed è un qualcosa che ti dà costantemente l'opportunità di crescere partita dopo partita, viene tutto analizzato, preparato, e poi ho la possibilità di confrontarmi con alcune delle migliori giocatrici al mondo, sia in squadra che contro come avversarie ogni settimana. Da tutto questo puoi solo imparare e migliorare. E' una grande opportunità, di cui sono grata ogni giorno".

Fuori dal campo, invece, cosa ha portato questa vita da globetrotter?

"Mi ha permesso di aumentare le relazioni con le persone, di stringere contatti. Apre un mondo nuovo sia mentalmente, che a livello di conoscenze in qualsiasi parte del mondo e impari da tutti. Nascono amicizie, scopri storie diverse: un aspetto sociale dello sport che, poi, è tra le parti che mi piacciono di più. E ogni volta che riparti, ti rimetti anche in gioco come persona, devi ritrovare un equilibrio e ti conosci sempre un po' di più, ti riadatti ad ambienti diversi ed è molto arricchente. Ti fa anche apprezzare meglio le piccole cose di casa tua quando torni".

Un mondo nuovo che si affaccia per il rugby femminile.

"Me ne rendo molto conto in Inghilterra. La vita che facciamo fondamentalmente è da professioniste e il lavoro include anche il recupero. Puoi andare dal fisioterapista a farti trattare, controllare, hai tempo per attività sociali, per una cena o un caffè in compagnia con le tue compagne. Se lavori, sono tutte cose che sono più difficili. Abito con alcune ragazze tra queste una mia coinquilina lavora come insegnante nel resto del tempo. Noi magari alla sera siamo tranquille e parliamo fino a tardi, mentre lei non vede l'ora di andare a letto, deve alzarsi presto la mattina per andare a scuola. E' proprio in questi casi che emerge la parte di gratitudine e rifletto su quanto sono fortunata. Penso anche all'alimentazione, aspetto non certo secondario nello sport. Se lavori finisci per mangiare quello che puoi e quando riesci, noi invece possiamo organizzarci tutto con calma. Se la mia allenatrice manda una review di una partita, noi possiamo analizzare tutto, mentre magari la mia coinquilina non ha proprio il tempo di farlo. E' proprio lì che diventano importanti i contratti. Il Galles lo ha reso evidente negli ultimi anni con i miglioramenti fatti e il divario si allarga sempre più. Ti senti privilegiata e quasi male nei confronti di chi gioca non avendo accordi del genere. Magari gli stipendi non saranno ancora quelli che ti consentiranno una certa sicurezza o di guardare con serenità al futuro, ma comunque vivi il presente in maniera molto più rilassata, anche se appunto siamo ancora lontani da una situazione positiva e tranquilla per tutte. Certo, è altrettanto facile perdersi nel presente guardando a quanto si potrebbe fare, ma se si allarga la prospettiva a dieci-venti anni fa, sono stati fatti passi da gigante e spero che tra vent'anni la situazione migliori ulteriormente e in modo esponenziale".

Venendo, invece, al Sei Nazioni, il torneo per l'Italia partirà domenica da Parma, subito contro un avversario durissimo: l'Inghilterra. Una partita un po' speciale per una delle italiane del Regno Unito.

"Non vedo l'ora di giocare. Affronterò alcune delle mie compagne, soprattutto Lucy (Packer, ndr), il mediano, che mi ha già detto che mi parlerà in mischia. Poi ci sono anche Connie Powell ed Ellie Kildunne che giocano con me a Londra. Altre ex di Exeter e poi comunque, bene o male, ci conosciamo tutte, giocando ogni settimana nel campionato. Per quanto riguarda la partita in sé e per sé, sappiamo che sarà subito in salita per noi, sia tecnicamente che fisicamente. Dal punto di vista emotivo, invece, confesso di sentirle un po' tutte, perché nel campionato inglese in realtà giochi un torneo della Gran Bretagna, quindi stai assieme o affronti ragazze scozzesi, gallesi, irlandesi allo stesso modo. Io, poi, ho giocato anche in Francia e pertanto sento pure quella partita, adesso poi hanno un nuovo capitano (Manaé Feleu, ndr), che giocava con me a Grenoble. Certo, magari l'Inghilterra ha un significato ulteriore perché verranno ragazze che conosco a vedere la partita, sarà trasmessa ovunque in Inghilterra, dove frequento tante persone, c'è più hype per così dire, e giocare contro di loro mi è sempre piaciuto".

E', inoltre, una nuova Inghilterra, senza Simon Middleton, con l'esperto tecnico neozelandese John Mitchell al suo posto.

"Non conosco le dinamiche dall'interno del camp inglese, ma da quel che percepisco, si avverte aria di cambiamento. Ci sono tante ragazze giovani e stanno lavorando molto su nuovi aspetti, come l'organizzazione, ma soprattutto dal punto di vista mentale e nella leadership di squadra. Hanno sicuramente una profondità diversa rispetto alla nostra, così come i mezzi a disposizione. Anche se è finito il ciclo di alcune ragazze eccezionali, ne hanno altrettante subito pronte a subentrare".

Una situazione che, comunque, anche l'Italia ha vissuto nel recente passato con la fine dell'era Di Giandomenico e l'arrivo in panchina di "Nanni" Raineri.

"Dopo il WXV non ho più fatto raduni - continua Silvia -, ma le ragazze hanno lavorato assieme sia in nazionale che con le franchigie, che credo abbiano adottato un sistema di gioco simile, considerando, che i tecnici sono Plinio Sciamanna e Francesco Iannucci, che allenano mischia e difesa dell'Italia. Non possiamo negare che lo scorso Sei Nazioni sia stato per noi più difficile e abbiamo brillato meno rispetto al passato, facendo emergere qualche difficoltà e il problema della profondità della rosa, con qualche infortunio e addio pesante. Si è sentita una fatica e una fisicità diversa. Contro la Spagna, poi, abbiamo vinto, qualificandoci per la seconda fascia del WXV, ma non è stata così facile come ci si attendeva. Nel WXV abbiamo un po' faticato all'inizio, avevamo molti margini di miglioramento, poi nell'ultima partita, tra noi c'è stata la percezione che ci stavamo ritrovando, dello stare bene assieme, abbiamo avuto buone sensazioni lasciando il Sudafrica e non vedo l'ora di tornare in gruppo. L'aver cambiato allenatore certo ha influito, non si può essere sempre in crescendo, a volte lo sport è fatto di alti e bassi. Sono rimasta colpita positivamente negli ultimi raduni da Francesco Iannucci, che era già stato con noi come video analyst e ora allenerà la difesa. E' una persona competente e in questa fase è importante avere il suo contributo, un punto di vista ulteriore, una migliore divisione del lavoro e vedere poi come saremo in grado di fare tesoro di tutto questo portandolo in campo. Nelle fasi statiche siamo in miglioramento, lavoriamo da anni con un gruppo stabile di ragazze, cosa che aiuta a conoscerci reciprocamente e aiuta anche a migliorare costantemente la conoscenza che di noi ha Plinio (Sciamanna, tecnico delle avanti, ndr)".

Quello inglese, però, sta diventando con Turani, Seye, Rigoni e Tounesi, senza contare in passato le varie Furlan, Sillari, Franco, un po' anche un campionato delle italiane.

"Nella mia prima partita con Harlequins abbiamo affrontato Ealing e dall'altra parte in mischia c'era Sara Seye, al suo esordio assoluto in Inghilterra. E' stato bello essere lì con lei in un momento così importante per entrambe. Contro Sara e Beatrice (Tounesi e Rigoni, ndr), ricordo il freddo terribile quando abbiamo giocato da loro, fango, ghiaccio, temperatura di -2° e poi abbiamo pure perso, quindi è stata un'esperienza da dimenticare all'andata, mentre allo Stoop era un bel pomeriggio piacevole. Andando dagli spogliatoi al campo, nemmeno a farlo apposta, ho incrociato Bea e mi ha dato una delle sue classiche caramelle da calzino, dicendomi di stare attenta che non l'avesse avvelenata. Poi con lei c'è sempre uno scambio caramella-profumo e ci scappa sempre qualche battuta in italiano in campo. Qui, però, fa veramente freddo. Non mi sono mai allenata con pantaloni lunghi o termiche, ma lo scorso anno ho iniziato e qui ho chiesto di prendere i giubbotti lunghissimi ed imbottiti e mi alleno con quello. Ho anche detto che nel contratto del prossimo anno, se non c'è il sole per più di dieci giorni, voglio che il nostro video analyst si metta in campo vestito di giallo e mi segua tutto il tempo per darmi almeno la sensazione".

Ma cosa vuol dire Sei Nazioni per Silvia Turani?

"Intanto la speranza di riuscire a farne uno completo che mi è mancato negli ultimi anni - ride l'ex Furia Rossa - E' il torneo classico per noi europei, hai la possibilità di giocare contro compagne ed ex, persone che conosco dalle esperienze all'estero, ma anche di poter indossare la maglia della nazionale, che per me è fonte di grande orgoglio. Sono due mesi in cui tornerò a stare con le mie compagne, che essendo via e non giocando il campionato italiano, vedo raramente. Sono curiosa di vedere come la squadra sta evolvendo, con nuove ragazze, nuovi membri dello staff, novità apportate e come ci adatteremo ad esse. Il Sei Nazioni per me è il passaggio dal freddo dell'Inghilterra alla primavera in Italia, anche se purtroppo sono rimasta delusa dalla pioggia trovata quando sono tornata. E' un appuntamento fisso, se ci pensi, alla fine. Il Mondiale è ogni quattro anni, test e match di qualificazione non ci sono sempre, il WXV è ancora nuovo, il Sei Nazioni invece sai che ci sarà sempre, è l'appuntamento che aspetti con ansia, anche per vedere come le altre squadre cambiano nel corso degli anni".